Maison Lizia
Magazine,  Reportage

Matera: il buon profumo del pane

Matera:

la città dei sassi, patrimonio Unesco dell’umanità.  La città del pane. E’ la città dove Pasolini
ha girato il suo film. E’ la città che Mel Gibson ha scelto per rappresentare
la “Passione di Cristo”. La città che da ”vergogna nazionale”, il 17
ottobre 2014 è stata eletta “città della cultura 2019”. Io amo Matera, è il “mio luogo dell’anima” dove fuggo per ritrovarmi. Passeggiare
per le sue strade e i suoi vicoli, riporta a un passato lontano, fatto
di fatica, di una vita vissuta ai limiti della sopravvivenza. Ed è proprio da questo passato lontano fatto di devozione, fede, fiducia e amore per la propria terra che il popolo materano si è riscattato, senza rinnegare le origini ma valorizzandole, perchè solo guardando e preservando il passato si può andare verso il futuro.

E’ quello che il giovane Massimo Cifarelli, presidente del Consorzio Pane di Matera ci insegna in una lunga chiacchierata fatta tra il profumo del pane appena sformato, tra racconti del passato e visioni per il futuro.

Massimo comincia a lavorare nel forno di famiglia a 21 anni e come tutti i giovani pieni di entusiasmo si comincia a fare delle domande: da dove proviene la farina, che lievito si usa nei panifici… Comincia a raccogliere storie su come si panificava nel passato, fa prove e comincia a scrivere a quattro mani con una sua collega un disciplinare di produzione per tutelare un prodotto che rappresenta il bene di una comunità. Siamo nel 2002, nasce il Consorzio di tutela per il Pane di Matera, nel 2008 il Pane ottiene la  denominazione IGP, Indicazione Geografica Protetta, perchè rappresenta un territorio e le sue peculierità: l’acqua, il grano, l’aria, un prodotto unico che può nascere solo in questa terra e…chi l’ha assaggiato lo sa!
Ma la storia del Pane di Matera si perde in un lontano passato, quando si panificava in grotta, quando per le donne era un rito sacro panificare, quando la noce di lievito madre era conservata come una cosa preziosa e veniva tirata fuori il giorno prima della panificazione per rianimarla. Quando il lievito madre era pronto si procedeva alla panificazione, ciò accadeva all’alba, era la donna a lasciare prima il talamo nunziale per preparare l’impasto, così quando si alzava il marito potesse mettere il magda a lievitare lì dove aveva dormito l’uomo, perchè secondo  la tradizione popolare si pensava che era il calore dell’uomo e il suo potere fecondatore a far lievitare la massa, che una volta pronta veniva segnata con il segno della croce e portato al forno, dove il fornaio provvedeva alla cottura.

Nel 1200, qualcosa accade, il Pane cambia forma e nasce il tipico pane alto che rappresenta la città e  la Murgia circostante. Il Pane alto nasce come esigenza del fornaio, è in questo periodo che la popolazione demografica cresce, il fornaio ha bisogno di più spazio nel forno per infornare più pagnotte e la forma alta risolve il problema.

Con la forma alta però si perde il segno della croce sulla pagnotta, era importante conservare il segno della sacralità, pertanto il fornaio poco prima di infornare dava la spinta sulla spalla della massa e incideva tre segni sulla sua testa “il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo“, il pane restava così legato a Nostro Signore in un atto di fede e devozione.

La cultura del pane è radicata in ogni abitante della città, è la storia di ciascuno di essi, rappresenta le origini, è così anche per Massimo che parla dell’antica attività di “fornaio” con passione, quando suo nonno era giudice e arbitro all’interno del forno. Arbitro perchè a lui, unico uomo fra tante donne spettava l’ultima parola o zittire i pettegolezzi che nascevano. Giudice, perchè era sempre lui che dava la spinta alla spalla del pane per dargli la forma finale e timbrava le pagnotte con il marchio in legno di ogni famiglia. Al momento di infornare le pagnotte doveva stare molto attento a rispettare i voleri delle donne che litigavano per accappararsi il posto migliore nella fornace, ma doveva stare molto attento alle pagnotte delle diverse famiglie che non si dovevano toccare, perchè il segno del “bacio” era simbolo di fallimento per il suo lavoro. Cultura talmente radicata che ancora oggi gli anziani della città non comprano il pane col segno del “bacio”.

Sacro e profano, tradizioni e antiche credenze che non si perdono nemmeno alla fine degli anni 70, quando in casa si smette di panificare e i fornai trasformandosi  in panifici diventano custodi della tradizione. Cambiano le abitudini ma non cambiano i forni che continuano a essere a legna, gli stessi di un tempo. E’ qui che Massimo, come suo nonno continua a infornare il suo pane.
Un forno che ti affascina, con un diametro di 4,60 metri e altezza massima della volta di 1,60 metri che ogni giorno accoglie nel suo interno 3 quintali di pane. La bocca del forno è sempre calda, anche se con lo spuntar del giorno si arde al centro un gran fascio di rami tipici della macchia mediterranea, questi danno vita a una gran fiamma che si sdraia sulla volta del forno e man mano che si consuma rilascia la cenere che si deposita sulle pareti. Il principio per regolarsi con la temperatura è semplice (dato che l’antico forno non è provvisto di termostato): cenere calda bianca ricopre tutta la volta e le pareti, questa man mano che si raffredda si scurisce e cade, l’attento “fornaio” è vigile il forno è pronto solo nel momento in cui la “fascia di cenere bianca scende”.

 

LA RICETTA SECONDO IL DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEL CONSORZIOPochi semplici ingredienti per sfornare ogni giorno un miracolo:  – 30 % di semola rimacinata Sen. Cappelli che sposa una miscela
personalizzata di semola locale (70%)  che il Consorzio acquista
direttamente dagli agricoltori locali
– sale 2,5 kg per 100 kg di farina
– 75 lt di acqua
– 40 di lievito madre
– 700 g di ievito di birra aggiunto solo a fine impasto
L’impasto viene lavorato a una temperatura costante di 28° e questo come la selezione degli ingredienti permette di gestire le molteplici varianti (temperatura dell’acqua e dell’ambiente, forza e elasticità della farina)

CHI E’ LA MADRE DI QUESTO PANE?

Massimo non parla di “lievito madre” bensi di una madre unica e speciale che da vita ogni giorno a una massa unica e speciale, che da vita ogni giorno a un figlio unico e speciale.
E ci tiene a specificare che un errore parlare di “lievito madre antico” in quanto il “lievito è vivo” e per mantenerlo in vita va rinnovato, divanta così nel corso del tempo un “lievito figlio delle contaminazioni moderne”. La madre del suo pane ha una ricetta che affonda le sue radici nel passato, quando si faceva macerare la frutta in acqua, questa macerando rilascia una moltitudine di organismi atti alla lievitazione.
Un lievito antico? Si, un lievito vivo, antico nella sua ricetta.

CURIOSITA’: LA FORMA A CORNETTO

La classica forma a cornetto del Pane di Matera nasce negli anni ’80
Il fornaio, diventato già esperto “panificatore” per poter soddisfare le esigenze di tutti i clienti, distingue con questa forma un pane con più crosta e meno mollica.

 

IL BUON PROFUMO DEL PANE

Primo Levi scrive: “Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini,
il cuore nascosto della loro antica civiltà.
Chiunque veda Matera non può non restarne colpito
tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”

Bellezza, bontà, profumi… legati da tradizioni, storie e devozione.
Il “Buon profumo del pane” che come per i sassi e come per le 143 chiese rupestri diventa simbolo di una città, di una cultura povera che solo con acqua, farina e pasta madre ha saputo sfamare intere generazioni senza perdere la propria dignità.
Pane per tutta la settimana, ma anche focaccie e “u pezzaridd”  ovvero il pezzo piccolo di pane da mangiare subito, il giorno stesso della sfornata. E per i più piccoli? Certo non c’era il dolce e la merenda era a base di pane. Una merenda golosa “il ricco d’olio”: in una teglia unta di olio evo si adagia un pezzo di massa di pane, la si lascia lievitare e si inforna, quando pronta la si capolvolge su un letto di zucchero… non c’è cosa più semplice e più dolce!

 

L’ ETERNO CONFLITTO: PANE DI MATERA O PANE DI ALTAMURA?

Un conflitto che si perde nella notte dei tempi a cui Massimo pone una domanda:
“Poteva una cultura neolitica con una tradizione radicata farsi influenzare da una cultura medioevale?
Certo secondo le fonti storiche gli antichi contadini di Matera vendevano ai vicini di casa di Altamura grano scottato in modo che non lo potessere piantare….

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